Il capoluogo piemontese è famoso in tutta Italia ma anche all’estero per la varietà e la bontà delle sue dolcezze: pasticcini, torte, gelati, sorbetti e cioccolatini.
Il cibo degli Dei poi ha una tradizione sulla quale disquisiremo in modo più approfondito prossimamente, sono di casa, e i ricettari abbondano di dessert marchiati indelebilmente con lo stemma sabaudo. Tra questi le bignole sono oggetto di silenti contese che vedono i pasticceri impegnati a miniaturizzarle sempre di più per aggiudicarsi il trofeo del “bocconcino mignon” mai decretato, mai assegnato, ma spesso sognato, ambito e vivo nei pensieri di tutti i nostri artigiani.
Vorrei, oggi, soffermarmi, su due specialità che stanno a Torino come la Mole, il Po o il Caval ‘d Brons, adatte ad ogni stagione ma che con l’avvicinarsi dell’autunno saranno sempre più nei programmi dei golosi impenitenti che siamo: bicerin e zabaione o zabaglione che dir si voglia; a Torino preferiamo ancora sanbajon (la o in piemontese si legge u).
Sulle origine del primo dobbiamo tornare nel 700' quando la cioccolata faceva furore, Torino era un fermento unico, avida di novità da condividere nei locali che nascevano e aggregavano aristocratici, borghesi e popolo: i primi caffè, le confetterie, le osterie, le liquoristerie…
Al “petit déjeuner” si consumava la “bevareisa” o “bavareisa”, da beverina. La prima colazione dei torinesi si faceva con questa bevanda a base di caffè, cioccolato e latte, servita in un bicchiere.
Un secolo dopo, un oste di via Dora Grossa, un certo Calosso, dotò il piccolo bicchiere di servizio di supporto e manico di metallo, da cui "bicerin".
Gli ingredienti, serviti sempre molto caldi, venivano proposti in tre diverse varianti: "pur e fiòr " (caffè e latte), antesignana del cappuccino, "pur e barba " (caffè e cioccolato), e infine "un pò 'd tut", una miscela dei tre ingredienti, quella pervenuta ai giorni nostri.
Il bicerin era servito con la stissa, un bricchetto con uno o tutti e gli tre ingredienti da aggiungere man mano e i bagnà, i biscottini da intingere per rendere ancora più goduriosa la bevanda: canestrelli, torcetti (granà, glassà, sfoija), amaretti, paste savoiarde alla provenzale o paste Savoia alla piemontese.
Dopo il bicerin o la cioccolata, per non farsi mancare nulla si usava ancora servire: torrone, diablottini, i primi cioccolatini, eporediesi al cacao, anisini, e noaset (oggi conosciuti come nocciolini di Chivasso). Nel 1852, Alexandre Dumas, di passaggio a Torino rimase affascinato dal bicerin e nel suo Dizionario Gastronomico così lo descrive: “parmi les belles et bonnes choses appréciées à Turin, je n’oublierai jamais cette excellente boisson composée de café, lait et chocolat qui se sert dans tous les cafés à un prix relativement bas…” « tra le cose belle e buone che ho avuto modo di apprezzare a Torino, non dimenticherò mai questa eccellente bevanda composta di caffè, latte e cioccolata che si serve nei caffè a prezzi relativamente bassi… »
Nei locali che, ancora oggi, servono questa bevanda, troviamo quasi sempre anche lo zabaglione. Su questa preparazione, tutto sommato semplice da realizzare, ma che pochi sanno rendere magica, soffice, eterea, sono state e saranno scritte ancora molte pagine per deliziare golosi del mondo intero.
Difficile trovare un paese in cui non ne esista una versione, magari rivista e corretta, ma sempre da scoprire e provare. Numerose sono le ipotesi, le storie e leggende che ruotano intorno alle origini di tale ricetta, a dimostrazione di quanto sia diffusa e appezzata.
Ci limiteremo a ricordare quella che vuole la nascita del magico “rimestar di uova, zucchero e vino” a Torino ad opera del frate francescano Pascual Baylon nel XVI° secolo.
Alla corte di Carlo Emanuele I, si narra che il frate, originario di Torrehermosa in Spagna per salvare delle uova che non volevano montare aggiunse del vino e a forza di “toirare” si ritrovò per caso con questa delizia divina.
Il vino era probabilmente un vino di Cipro (oggi potremmo pensare a un Moscato D’Alessandria, uno zibibbo), comune a Torino, dato che i Savoia, tra i loro titoli, annoveravano quello di Re di Cipro e Gerusalemme. Una versione un po’ più maliziosa vuole che il frate, nel segreto del confessionale, consigliasse alle dame che si lamentavano dei mariti poco attenti alle loro esigenze di preparare loro un uovo sbattuto con vino e zucchero.
Fatto sta che, conosciuto e riconosciuto non solo per i suoi meriti culinari Fra Pascual salì agli onori degli altari. E così, ancora oggi il 17 maggio si festeggia San Baylon, santo protettore dei cuochi torinesi, all’origine Confraternita dei Cuochi di Famiglia Privata, di ambo i sessi. È ovvia la derivazione piemontese del nome del santo in sanbajon, poi italianizzato in zabaglione o zabaione. Anche per queste due ricette, nell’800', nei più famosi ristoranti di hôtel internazionali si riportava: “chef français, pâtissier turinois”. Chef francese, pasticcere torinese. Un bel riconoscimento alla nostra tradizione che vorremmo poter leggere ancora oggi!
Alessandro Felis