Il 5 marzo 2014, Torino -
In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell'International University College of Turin (IUC), è stato conferito a Carlo Petrini il Master Honoris Causa in Comparative Law, Economics and Finance. Nella motivazione del titolo ad honorem si legge che: "Carlo Petrini fondando Slow Food e Terra Madre, ha saputo comprendere e dare voce al profondo bisogno di recupero e di rinnovamento delle tradizioni gastronomiche regionali e nazionali, restituendo nel contempo, in sintonia con la modernità del mondo globalizzato, alle comunità di produttori, contadini, allevatori, elaboratori di alimenti e agli stessi consumatori, la dignità e la centralità culturale che sole garantiscono la tutela e la promozione del cibo, l’equità della sua distribuzione e un sapere comune diffuso come strumento informato di liberazione”.
“Esageruma nen, l’è nen vera”, così Carlin ha esordito con ironia con una battuta in piemontese, rispondendo al Prof. Ugo Mattei, fondatore dello IUC, che l’aveva presentato: "non è vero che mi sono laureato in Sociologia a Trento. In quegli anni il lavoro e lo studio mi assorbivano tempo e non mi sono laureato. Oggi con questo Diploma, di sicuro, non illudetevi,non riesco a risolvere i problemi economici del Paese e neanche quelli finanziari di qualche mio amico che se li è visti sfumare nei bond argentini! "
"Approfitto dell’occasione, per affrontare il tema della distribuzione del cibo - ha affermato il Dottor Petrini - l’attività di Slow Food è da sempre rivolta alla salvaguardia e alla tutela della biodiversità, culturale e politica. Ma questo sistema produttivo e distributivo distrugge le specie deboli. Ho sempre nel mio cuore le pesche di vigna delle mie Langhe: ora non ci sono più, sono scomparse, perché non conviene più raccoglierle!
Basta un’ammaccatura che la grande distribuzione le rifiuta. Il 70% della biodiversità negli ultimi 50 anni è stato distrutto. Oggi la situazione agricola in Europa è in ginocchio – ha proseguito – centinaia di piccoli produttori, che mantengono, tra l’altro, la nostra economia agricola, non ce la fanno più. Il cibo oggi è uno status-symbol, non ci sono più i contadini, solo padelle che friggono nei programmi televisivi, bambini che da grandi vogliono fare gli chef, senza aver mai messo piede in cucina. Solo il 3% della popolazione è contadina, contro il 50% di 60 anni fa.”
Carlo Petrini sottolinea come questo sistema sia davvero fuori dalle regole del buon vivere e ci sta portando all’impoverimento non solo economico ma anche sociale. Raccoglie applausi a scena aperta dalla platea, dai giovani studenti, molti dei quali stranieri,e da tutti gli altri, professori e pubblico variegato e attento.
“Questo è un sistema schizofrenico: il nostro made in Italy non esiste più. Ma lo sapete - ribatte ancora Carlin – che il Barolo di Langa non è più fatto dai nostri contadini piemontesi? Sieti informati? Ventimila macedoni lavorano tra i vigneti della Langa… e grazie ai diecimila indiani col turbante produciamo il Parmigiano Reggiano… nelle Marche, la terra è coltivata dai magrebini e qualche vecchio contadino. Perdere la cultura contadina significa perdere la civiltà, vuol dire perdere l’anima.
Aveva ragione Pier Paolo Pasolini quando affermava che “il giorno in cui questo Paese perderà l’agricoltura e l’artigianato, non avrà più storia.” Bisogna difendere le buone cause di un sistema agricolo sostenibile che deve essere valorizzato e deve valorizzare il ritorno alla terra da parte dei cittadini. I giovani devono tornare alla terra – dice convinto Petrini – altrimenti noi non avremo futuro in questo campo.”
La platea interrompe con applausi scroscianti la lectio del grande Petrini che va avanti nella sua esposizione. “E’ insostenibile che a un allevatore si paghi il latte 32 centesimi al litro che poi va a finire alla grande distribuzione e venduto a 1 euro e sessanta centesimi, con il “restyling” degli Omega3. Quel latte non ha più vitamine… la gente beve solo cartone. Ma che Paese siamo! Potete darmi tutte le lauree che volete, ma se qui non cambiano le cose che senso ha. Se la legge, l’economia, la politica non cambiano obiettivo, passando dal produttivismo alla produttività vuol dire che creeranno sconquasso in campo sociale, ambientale e agricolo, con l’abbandono delle campagne.
E in un Paese dove non ci sono più contadini, - continua il presidente di Slow Food – chi si preoccupa dell’assetto del territorio? In Langa, quando pioveva, si diceva che “i contadini portavano l’acqua a spasso”. Significava che pulivano bene i fossi, costruivano dei percorsi per far defluire in modo corretto le acque. Oggi è un disastro. Dalla società rurale, descritta da Mario Soldati alla fine degli anni ’50, da quel lavoro contadino, fatto di sofferenza e di fatica, ma anche di poesia, si è passati alla società dei supermercati.
Il cibo non ha più valore è solo mercanzia! Lo spreco alimentare, - dice Carlin – oggi, ha proporzioni incredibili. L’economia locale non viene valorizzata. I nostri frigoriferi sono… delle tombe di famiglia. Il 50% di cibo viene buttato. Non solo colpa della politica, anche nostra! Bisogna far rinascere il senso della comunità, nella mia città non si sente più il profumo del pane!”
“Ieri abbiamo vinto un Oscar con le contraddizioni della bellezza. Una delle grandi bellezze di questo Paese sono i borghi e la loro umanità. Quando un borgo ha perso l’osteria, non ha più il panettiere e ha solo luoghi per andare a dormire, vuol dire che ha perso la socialità e la nazione non è più bella. Noi dobbiamo mantenere quella bellezza!”
“Alla fine degli anni ’90 Slow Food si impegnò per aprire, negli Stati Uniti, i mercati contadini. Siamo partiti da Cicago col primo e oggi sono ben dodici mila, nel Paese che ha inventato i supermercati. I contadini americani, conclude Petrini, sono oggi dei laureati. Sono passati dalla Silicon Valley, all’allevamento di capre e a fare il formaggio, e stanno benissimo! Fare il contadino è bello se ti danno l’orgoglio e la dignità del tuo lavoro!
Ritorniamo al concetto di “bottega”, al senso di comunità, di socialità ormai quasi perduto, rafforziamo l’economia locale. E’ il momento di riscattare l’umiliazione di migliaia di contadini. E’ l’economia della felicità: siamo nati per essere felici. Così, al telefono, mi parlava Papa Francesco qualche tempo fa. Il Papa, nella telefonata, mi raccontava che sua nonna gli ricordava sempre che “quando si moriva, nel sudario non c’erano le tasche”, e io ho risposto subito con le parole di quella vecchia cuoca delle Langhe che, sollecitata ad aprire la sua osteria anche la sera, rispondeva così: “non voglio essere la più ricca del camposanto!”
Gli applausi sono tutti per il neo dottore. Complimenti Carlin!
Articolo di REd