Enogastronomia

    Venerdì, 23 Gennaio 2015 14:46

    Erbaluce di Caluso, anche a Carnevale!

    Scritto da Alessandro Felis

    Da tempo ormai al Piemonte vitivinicolo sono stati riconosciuti i dovuti meriti e blasonate etichette lasciano le nostre cantine per conquistare non solo l’Italia ma anche discepoli di Bacco del mondo intero

     

     

    Barbaresco, Barolo, Moscato d’Asti e altre perle del territorio subalpino non hanno ormai più bisogno di presentazioni: Langhe, Monferrato e Roero, oggi patrimonio dell’Unesco, sono ormai individuabili sulle cartine da fiumi di bevitori e gastronomi accorti dei cinque continenti. Volendo essere buoni ambasciatori del nostro territorio, non dobbiamo scordare le ricchezze enologiche della provincia di Torino, sconosciute ai più, laddove la vite è da sempre sinonimo di lavoro pesante, poco remunerativo, in zone spesso marginali, specie in territori montani dove l’impegno dell’uomo viene giustamente definito eroico.

     

    Valsusa, Pinerolese e Canavese propongono sin dall’Antichità la coltivazione della vite e la relativa trasformazione in prelibati nettari. Nel 1967, quindi, agli albori delle denominazioni in Italia, nasce la Doc Erbaluce di Caluso, che si declina in tre tipologie pervenute in grandissima forma fino ai giorni nostri: Erbaluce di Caluso, Erbaluce di Caluso Spumante e Erbaluce di Caluso Passito. Solo quella relativa al Passito Liquoroso si è “spenta” per strada e non è più contemplata dagli odierni disciplinari.

     

    L’area di produzione, prevalentemente in provincia di Torino, include anche alcuni comuni del Biellese e del Vercellese. E dal 2010, la Denominazione diventa di Origine Controllata e Garantita, all’apice dei riconoscimenti nazionali. La leggenda vuole che il nome Erbaluce derivi dalla ninfa Albaluce, figlia dell’Alba e del Sole che viveva, molti secoli or sono, nel grande lago che ricopriva gran parte dell’attuale Canavese. Alcune lacrime scese dalle gote della bellissima dea, cadendo su un arbusto, ne avrebbero favorito la produzione di lunghi tralci da cui penderanno dorati, dolci e succosi grappoli d’uva.

     

    Lo stesso vitigno viene così descritto, nel 1606, da Giovanni Battista Croce, eclettico personaggio della corte del Duca Carlo Emanuele I di Savoia, nel suo trattato “Dell’eccellenza e della diversità dei vini che nella Montagna di Torino si fanno e del modo di farli”.

    Elbalus è uva bianca così detta, come Albaluce, perché biancheggiando risplende: fa li grani rotondi, folti e copiosi, ha il guscio, o sia scorsa dura: matura diviene rostita, e colorita, e si mantiene in su la pianta assai: è buona da mangiare, e a questo fine si conserva: fa li vini buoni e stomacali.”

     

    Una descrizione ancora attuale che calza perfettamente a questa stupenda uva bianca che ha nel passito la punta di diamante della produzione e i cui acini dalla buccia spessa diventano ambrati, tanto da sembrare arrostiti quando esposti in modo ottimale ai raggi del sole. Nasce per caso, quando l’uva Erbaluce veniva raccolta a settembre e conservata nei solè (solai) durante l’inverno per essere consumata a tavola. Verso febbraio, marzo gli acini rimasti, ormai completamente appassiti, non erano più commestibili.

     

    Venivano quindi pigiati e vinificati in particolari bottiglioni e botticelle. Il corposo nettare ricavato, troppo forte per essere bevuto tale quale, veniva usato come corroborante, tonico, ricostituente, servito alle balie e agli uomini cui spettavano i lavori pesanti (bovari, potatori,…). Offerto come segno di deferenza a importanti ospiti di passaggio, venne conosciuto come Vin Santo di Caluso e tanto apprezzato da diventare oggetto di apposita produzione e non più come solo recupero delle uve avanzate dal consumo fresco invernale.

     

    Le passitaie con le stuoie, i graticci o i grappoli appesi al soffitto, oltre che basilari per la produzione rimangono una delle peculiarità del mondo contadino canavesano. Qui si preparano le basi per questo passito che ha nell’acidità dell’uva un punto si forza che lo rende equilibrato, gradevolmente dolce, mai stucchevole, compagno ideale della ricca tavolozza di pasticceria locale ma anche delle saporite tome delle Valli Chiusella, Sacra e non solo. Crocevia di fondamentale importanza, che permette al Piemonte di comunicare con le nazioni d’oltralpe, il Canavese è sempre stato, proprio per questa sua configurazione, luogo di passaggio e di permanenza di popoli e di tribù nonché oggetto di contese.

     

    Oggi, ancora, la Battaglia delle Arance di Ivrea commemora locali fatti d’armi. E che il Carnevale, storicamente periodo di stravaganze, esagerazioni e trasgressioni sia l’occasione di rinnovare patti enogastronomici a condizione che il bianco figlio di Albaluce accompagni la mensa giocosa e spensierata prima delle mortificazioni quaresimali!

     

    In un ideale connubio, lo spumante accompagnerà aperitivi e antipasti e perché no il grande fritto misto piemontese che in questi giorni diventa simbolo della festa: il bianco fermo sarà proposto con pesci dei laghi canavesani e carni bianche e il passito sarà indispensabile per suggellare la festa di fiotti di golosi impenitenti che lo centellineranno con bugie, zabaglione e le immancabili paste locali, i torcetti, i canestrelli, i nocciolini e le paste ‘d melia.

     

    Brindiamo dunque, brindiamo ai nostri vini locali, brindiamo ai vitigni autoctoni che oltre alla bontà, alla diversità delle proposte, delle sensazioni, dei caratteri organolettici, ci offrono la storia di un territorio e tutto il suo patrimonio umano.

    Buon Carnevale!

    Alessandro Felis

     

     

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