Champagne per brindare a un incontro...
Probabilmente il vino più famoso al mondo, sicuramente il più bevuto nelle grandi occasioni, in quei piccoli o grandi momenti che allietano i cuori e la vita, dall’incontro amoroso al varo di una nave e bevanda di elezione sui grandi transatlantici che solcavano gli oceani e segnarono un’ epoca. Belle époque, per l’appunto, come una cuvée speciale, esclusiva di una grande casa, pardon di una grande maison (250 circa su più di 2.000 produttori) che ci riporta ai fasti d’antan.
Non possono non venire alla mente le parole rese celebri da Peppino di Capri “Champagne per brindare a un incontro...” o quelle di Eugène Mercier, fondatore dell’omonima azienda il cui motto è rimasto “le Champagne c’est la fête” e che festa sia! Appurato che le pregiate bollicine segnano gli istanti di letizia, è doveroso ricordare come nasce questo nettare che prende il nome da una regione francese situata a circa 100 km a nord-est di Parigi, al limite della coltivazione della vite.
Quindi il nome stesso è una A.O.C., l’equivalente della nostra D.O.C., e dovrebbe essere usato solo per le bottiglie prodotte in loco e dalle uve i cui filari si estendono per offrire uno spettacolo mozzafiato dalla montagna di Reims, alla Valle della Marne fino alle Coste dei Bianchi. Tre sono i vitigni, le varietà che compongono l’assemblaggio base, due a bacca nera: Pinot noir, Pinot meunier e uno bianco: Chardonnay.
Il primo offre struttura e potenza, il secondo fruttato e facilità alla beva, il terzo l’eleganza e la finezza.
Tre moschettieri che si uniscono per una stessa giusta causa e quando l’uva è solo bianca, nascono i pregiati Blanc de Blancs per palati raffinati. Arrivare in Champagne significa penetrare un universo dove il turista, l’ospite si avvicina in punta di piedi, in religiosa contemplazione, senza clamori per non alterare equilibri frutto di anni, di secoli. Davanti all’abbazia di Hautvillers, dove visse e operò Dom Pierre Pérignon, l’atmosfera diventa quasi mistica, non solo per il monastero.
I Francesi attribuiscono all’abate economo, l’invenzione del metodo che prendendo il nome dalla zona è divenuto “champenois”. Una probabile forzatura dei transalpini che, da buoni promotori di se stessi, hanno visto nella figura del religioso un ottimo testimonial d’annata. Sicuramente i suoi studi sulla vite, le bottiglie, i tappi e la vinificazione hanno contribuito all’ottenimento dello Champagne moderno ma il vino spumante nasce ben prima. Si dice che lo bevessero già i Romani che hanno portato la vite in zona ma probabilmente nasce in modo casuale con lo zucchero residuato che rifermentava nelle bottiglie creando la spuma e talvolta facendo scoppiare le bottiglie, da qui il nome di vin du diable, vino del diavolo .
Leggende, aneddoti, storie e citazioni sullo Champagne abbondano, i fatti storici spesso si fondono con quelli viticoli, enologi e nasce così il fascino, il mistero che con il savoir faire dei maître de chais, i mastri cantinieri, e molto orgoglio crea un vino che non ha pari al mondo. Senza nulla togliere ai nostri produttori nazionali di spumanti metodo classico, anzi ammirando e sostenendo il loro operare e facendo conoscere i loro territori e le loro etichette, lo Champagne non può essere confrontato con nessun altro vino. Così come un Franciacorta o un Alta Langa nostrani non potranno mai essere confrontati con altri.
Ogni vino ha una sua peculiarità che deriva dal clima, dal territorio, dalle uve, dalla sistemazione dei terreni, dall’esposizione, dalle lavorazioni in vigna e cantina, dalla mano del contadino e dell’enologo, per farne una chicca che non può e non deve essere confrontata con nessun’altra. E lo Champagne ha la sua ragione d’essere, sprigionare bollicine foriere di emozioni.
Quando si parla dell’abbinamento dei vini, si cita l’accordo per contrasto, vino passito con formaggio stagionato per esempio, quello per concordanza, vino dolce con dessert, quello territoriale, il Culatello che trova un alleato sicuro del Fortana o nel Lambrusco emiliani e poi si azzarda l’abbinamento della circostanza, il vino che si adatta a una certa situazione, quello che sembra appositamente studiato per lo Champagne la cui spuma che è frutto di mesi, anni di riposo sui lieviti è un segno esterno di gioia, piacevolezza e perché no, di eccitazione.
“Solo chi manca di fantasia non trova una buona ragion per bere Champagne” sanciva Oscar Wilde. Ma lo Champagne è anche femmina e, ironia del caso, il primo rosé è dovuto alla vedova più conosciuta al mondo, la Veuve Cliquot Ponsardin, così come l’invenzione dei pupîtres, i cavalletti di legno dove le bottiglie sostano a testa in giù per concentrare i lieviti.
Ma rimanendo in tema di quota rosa, tutta la bellezza del bere il nettare divino è espresso da un’ altra grande dame, Lily Bollinger che ci lascia questa testimonianza: “Lo bevo quando sono felice e quando sono triste forse di più. Talvolta lo bevo quando sono sola. E adoro berlo in società. Anche quando non ho appetito ne apprezzo una coppa ma ovviamente quando ho appetito anche di più. Altrimenti non lo tocco… a meno che non abbia sete.” Santé! (Alessandro Felis)