La classica “panada” si ottiene mettendo il pane avanzato a scaldare nel brodo di bollito, poi servito con un po’ di grana o parmigiano. Un sano primo piatto che costa poco ed evita lo spreco del pane. La frutta si può utilizzare "caramellata", cioè cotta per diventare marmellata o macedonia. La carne avanzata tritata si può utilizzare per buone e gustose polpette, la frittata di pasta per non buttare gli spaghetti, le verdure avanzate si riutilizzano in svariati menù, una torta salata, una frittata, uno sfornato, il minestrone,etc...
Sulle tavole degli italiani tornano i piatti del giorno dopo come polpette, frittate, pizze farcite, ratatouille e macedonia, sono un ottima soluzione contro la crisi, non gettare nella spazzatura gli avanzi, aiutano a non far sparire tradizioni del passato, dove non esisteva lo spreco, dando origine a piatti diventati simbolo della cultura enogastronomica del territorio. Usanza, abitudine poco "elegante", ma durante e nel dopoguerra efficiente contro la fame, ora potrebbe diventare una moda come per i capi d'abbigliamento "vintage"
Le famiglie che hanno ridotto lo spreco sono il 67 per cento, con una spesa attenta, il 59 per cento utilizzando il cibo avanzato, il 40 per cento riducendo le dosi, il 38 per cento guardando con più attenzione la data di scadenza (Coldiretti).
Nel 2010 ogni italiano ha buttato via 27 chilogrammi di alimenti ancora commestibili, 8,8 milioni di tonnellate in tutto, il 10% del totale europeo, una perdita di 454 euro a famiglia. Questi dati emergono da uno studio inedito sul tema "Spreco del cibo", curato dal Barilla Center. I numeri dello spreco, secondo le stime Adoc, delle famiglie italiane che buttano il cibo recuperabile sono: il 35% dei prodotti freschi, il 19% del pane e il 16% di frutta e verdura.
Il fenomeno però non si limita allo spreco delle sole famiglie, se si considera l'intero percorso di produzione di alimenti, dai campi ai supermercati lo spreco sale a 20 milioni di tonnellate. Al giorno, ognuno dei 600 ipermercati della penisola, cestina 250 chilogrammi di cibo, perché vicino alla data di scadenza o per ragioni estetiche. Questo costa al Paese più di dieci miliardi di euro nel settore agricolo, 1,2 miliardi nell'industria alimentare e 1,5 miliardi nella distribuzione, per un totale di quasi 12,7 miliardi di euro l'anno.
La crisi ha modificato un po' le abitudini, tre italiani su quattro prestano maggiore attenzione alla spesa rispetto al passato per risparmiare di più, con la conseguente riduzione degli sprechi del 57%.
In Europa e Nord America lo spreco da parte dei consumatori è stimato tra 95-115 kg annui pro capite, mentre nel Sudest asiatico e nell’Africa subsahariana il dato è tra 6-11Kg. Calcolando che il cibo sprecato in Europa potrebbe nutrire 200 milioni di persone (Fao), limitare il fenomeno è un obbligo morale e ambientale per tutti, dalle istituzioni alla società civile, ai singoli cittadini.
Lo spreco alimentare il tema prinicpale dello Slow Food Day 2013, celebrato in tutta Italia il 25 maggio prossimo: «Non si parlerà solo di cibo, ma anche di energia, acqua, salute, risorse e beni comuni» spiega Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia.
Il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao) hanno lanciato lo scorso 23 gennaio a Ginevra, una campagna globale contro lo spreco alimentare. L’iniziativa chiamata Think.Eat.Save, ha l’obiettivo di coinvolgere consumatori, commercianti, industrie alimentari e catene di distribuzione per arrivare a limitare drasticamente gli 1,3 miliardi di tonnellate di cibo persi o gettati ogni anno.