Quando spargo i miei pensieri qua e là, brani di una trama messi assieme senza costrutto né progetto, non sono obbligato a rispondere di essi o ad attenermi ad essi. Posso abbandonarli quando voglio e tornare ai miei dubbi e alle mie incertezze, alla mia forma spirituale dominante: l’ignoranza (Michel de Montaigne).
Da queste parole prende avvio l’intero lavoro sugli Essais di Montaigne, prima tappa di Ergo Sum, progetto coreografico triennale da me voluto per riflettere sull’esistenza. Esistere rispetto al mondo, agli altri alla vita ma soprattutto rispetto a se stessi, quali scoperte, quali riflessioni su quell’io che nel XVI secolo Montaigne scandaglia prima di coloro che avrebbero rivoluzionato la percezione dell’uomo e della sua anima fra XIX e XX secolo.
Montaigne, come scrive Stefan Zweig (che ha dedicato al filosofo una appassionata biografia), è un autore che non tutte le epoche possono apprezzare e comprendere. Ma, esattamente come alla fine del Rinascimento, all’epoca di Zweig, durante la seconda guerra mondiale, valori e illusioni di un‘epoca florida e feconda si frantumavano sotto la spinta di un oscurantismo nefasto, teso alla disintegrazione della dignità umana; oggi credo che Montaigne sia attualissimo.
Gli Essais sono tentativi, prove, come suggerisce il verbo francese esseyer, un questionare senza pretese di verità. Cosi come la mia danza fatta di sperimentazioni coreografiche, surreali e criptiche, ispirata nella sua struttura e autonomia a chi, anche confuso e spaventato, si chiuse in una stanza a scrivere di sé, per sé e pochi intimi affermando il proprio spirito libero.
Una danza slegata da qualsiasi contenuto narrativo, e che ho voluto però profondamente intrisa di umanità, per esplorare il caleidoscopico labirinto dell’anima che emerge dagli Essais, con una differenza sostanziale: Montaigne ha scritto tre volumi, composti da decine di capitoli dedicati ciascuno a specifici comportamenti, caratteri, situazioni umane, la danza grazie al suo potere evocativo, in pochi gesti, può sintetizzare una moltitudine di significati, suscitando riflessioni differenti in ciascuno di noi.
Per questa ragione ho scelto un elemento scenografico scomponibile (ideato da Massimo Voghera) che frammentasse lo spazio e, come un palazzo degli specchi, rivelasse o nascondesse, immagini e azioni, e dove non forzatamente ciò che è in primo piano è prioritario rispetto a prospettive secondarie. Anche la musica è frammentaria ed eterogenea, esattamente come i soggetti e la scrittura di Montaigne.
Queste le mie sperimentazioni coreografiche, un modo per sfuggire al mondo e ritornarci con la serena consapevolezza dell’ignoranza che accumuna tutta l’umanità, unica certezza, assieme alla morte, che mi accompagna e avvicina a Montaigne (Raphael Bianco).
Ideazione e coreografia: Raphael Bianco
Musiche: Meredith Monk, Alessandro Cortini, Rafael Anton Irisarri, Mika Vainio, Senking, Arvo Part
Assistente alla Coreografia: Elena Rolla Scenografia : Massimo Voghera
Realizzazione scenografia: Renato Ostorero Luci : Enzo Galia
Maître de Ballet: Vincenzo Galano
Danzatori: Compagnia EgriBiancoDanza